Βαρθολομαίος: «Με τον Φραγκίσκο προς την ενότητα»
Στην
επίσκεψη του Πάπα Φραγκίσκου στο Φανάρι και στην πορεία των χριστιανών προς την
ένωση, αναφέρεται, μεταξύ άλλων, ο Οικουμενικός Πατριάρχης Βαρθολομαίος σε
συνέντευξή του στην εφημερίδα των ιταλών καθολικών επισκόπων Avvenire.
«Ο
ειλικρινής εναγκαλισμός εν φιλήματι ειρήνης μεταξύ των προκαθημένων της Ρώμης
και της Κωνσταντινούπολης υποδεικνύει την επιθυμία να διασχίσουμε την οδό που
υπέδειξε ο Κύριος μας Ιησούς Χριστός ίνα ώσι έν. Οι προκάτοχοί μας είχαν
εγκαινιάσει τον θεολογικό διάλογο μεταξύ των Εκκλησιών μας και οι επακόλουθες
συναντήσεις ασχολήθηκαν με πολλά θέματα που έχρηζαν μιας ιστορικής
επαναξιολόγησης. Τώρα ο αγαπητός μας
αδελφός Φραγκίσκος συνεχίζει αυτή την χειρονομία που δεν αποτελεί μια
εκκλησιαστική αβροφροσύνη, αλλά είναι κάτι πολύ περισσότερο» τονίζει ο
Οικουμενικός Πατριάρχης.
Σε
σχέση με την «δυνατότητα νέας προοπτικής του διαλόγου καθολικών και ορθοδόξων»,
στην οποία αναφέρεται η ιταλική εφημερίδα, ο Οικουμενικός Πατριάρχης
Βαρθολομαίος σημειώνει: «Η μύχια οικειότητα
που αισθανθήκαμε με τον Πάπα Φραγκίσκο, από τη στιγμή της εκλογής του, αποτελεί
χωρίς αμφιβολία ένα νέο έναυσμα για την πορεία προς την ενότητα. Οικειότητα που
δεν είναι ένα καρπός συναισθηματισμού, αλλά η πλήρης ένταξη στο μήνυμα του
Χριστού, επιθυμία της συνάντησης μεταξύ αδελφών για μια από κοινού μαρτυρία. Η
νέα προοπτική που ο Πάπας Φραγκίσκος δίνει στο αξίωμα του Επισκόπου της Ρώμης,
στη συνοδικότητα για τη διοίκηση της Εκκλησίας, είναι πολύτιμα στοιχεία για την
Ανατολή, που παρακολουθεί με ιδιαίτερη προσοχή αυτές τις αλλαγές. Έτσι λοιπόν
και αυτή η συνάντηση διανοίγει μια νέα προοπτική στον διάλογο καθολικών και
ορθοδόξων, χωρίς την προσκόλληση σε σχήματα του παρελθόντος, αλλά εξαγνισμένη
στο φως του Ευαγγελίου και της Παράδοσης της Εκκλησίας».
Με
αναφορά του, δε, στην Εκκλησία της πρώτης χιλιετίας, η οποία θεωρείται συχνά
πρότυπο και από τους ταγούς της Ρωμαιοκαθολικής Εκκλησίας, ο Οικουμενικός
Πατριάχης αναφέρει ότι «ακόμη μια φορά η
Εκκλησία πρέπει να επανααποκαλυφθεί πέραν των ανθρωπίνων σχημάτων στα οποία
συχνά περιορίζεται και να επανοικειοποιηθεί την ζωή εν Χριστώ.Στην υπέρβαση
αυτής της ιδίας, επανευρίσκει την κοινή πορεία πέραν των νομικών, θρησκευτικών
και ερμηνευτικών φραγμών. Σε αυτή την προοπτική η πρώτη χιλιετία υποδεικνύει στην
Εκκλησία εκείνη την "εν Χριστώ ζωή" προς την ενότητα των τέκνων της.
Η πρώτη χιλιετία της Εκκλησίας βίωσε εις βάθος την ενότητα, ενώ ήταν απολύτως
άγνωστη η ιδέα της Ένωσης».
Απαντώντας,
τέλος, σε ερώτηση που αφορά τις θρηκευτικές ελευθερίες στην Τουρκία, ο
Οικουμενικός Πατριάρχης Βαρθολομαίος τονίζει ότι με τη διακυβέρνηση Ερντογάν
υπήρξαν θετικά στοιχεία στο θέμα αυτό, αλλά δεν παραλείπει να προσθέσει: «Οι
χριστιανοί στην Τουρκία είναι και Τούρκοι πολίτες και εξ'αυτού του λόγου πρέπει
να έχουν τις ίδιες δυνατότητες με τους μουσουλμάνους Τούρκους πολίτες. Πρέπει
να υπάρχει γι' αυτούς μία περισσότερο ξεκάθαρη πολιτική και ηθική φροντίδα. Ένα
από τα θέματα που παραμένουν σε αντιδικία είναι για παράδειγμα η νομική
αναγνώριση της Εκκλησίας ως οντότητα δημοσίου δικαίου. Η Τουρκία δεν
αναγνωρίζει ακόμα πλήρως το νομικό καθεστώς του Οικουμενικού Πατριαρχείου, την
ιστορική του θέση στον ορθόδοξο κόσμο και συνεχίζει άδικα να εμποδίζει την
επαναλειτουργία της Θεολογικής Σχολής της Χάλκης».
tanea.gr,28/11/2014
Bartolomeo I: «Con Francesco per l'unità»
Al Fanar tutto è ormai pronto per l’arrivo del
"Vescovo fratello della Prima Roma". Qui nell’antica
sede del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli i rumori del traffico si
spengono. Solo la voce del muezzin della moschea accanto spezza il
silenzio. In queste mura secolari appena restituite dai restauri al loro
disegno originario, il fratello della Chiesa d’Oriente Bartolomeo accoglierà
papa Francesco. Di cosa parleranno? Le parole del patriarca ci portano dritti
alle sorgenti, «alla fonte che illumina la Chiesa». Indicano «una teofania
nuova nella vita della Chiesa», con lucidità si soffermano «sullo spirito
mondano», «sull’autoaffermazione» come «radici ultime della divisione» e della
mancata unità, rivelando il profondo sensus ecclesiae che lo unisce
al vescovo di Roma. È la vigilia della festa dell’apostolo Andrea ed è proprio
nella comune memoria del primo chiamato che papa Francesco e il patriarca
Bartolomeo si sono dati appuntamento per guardare insieme avanti.
Santità,
dopo Gerusalemme qual è il senso di questo nuovo incontro?
Il sincero
abbraccio e il bacio di pace tra coloro che presiedono le sedi di Roma e
Costantinopoli indica la volontà di percorrere la strada voluta da nostro
Signore Gesù Cristo "ut unum sint". I nostri predecessori
avevano dato avvio al dialogo teologico tra le nostre Chiese e i successivi
incontri hanno abbracciato molti temi che necessitavano di una rivalutazione
storica. Ora il nostro amato fratello Francesco continua questo gesto che non
rappresenta una forma di cortesia ecclesiastica, ma è molto di più.
Si apre una
nuova prospettiva nel dialogo cattolico-ortodosso?
La
confidenza intima che abbiamo sentito con papa Francesco, fin dalla sua
elezione, sono senza dubbio un nuovo propulsore per il cammino verso l’unità.
Confidenza che non è frutto di un sentimentalismo, ma adesione completa al
messaggio di Cristo, volontà dell’incontro tra fratelli per una testimonianza
comune. La nuova prospettiva che papa Francesco sta dando al ruolo di vescovo
di Roma, alla sinodalità nel governo della Chiesa, sono temi cari all’Oriente,
che guarda con particolare attenzione a questi risvolti. Quindi anche questo
incontro apre una prospettiva nuova nel dialogo cattolico-ortodosso, non più
legata a schemi del passato, ma purificata alla luce del Vangelo e della
Tradizione della Chiesa.
Sono
trascorsi 960 anni dallo scisma tra Oriente e Occidente. Quali sono in sostanza
le radici ultime che fanno ancora permanere la divisione delle Chiese sorelle?
La Chiesa
dei primi secoli poggiava il suo essere tale sull’annuncio delLogos fattosi
carne per amore dell’uomo e sulla partecipazione al suo banchetto eucaristico.
I martiri hanno testimoniato col sangue questa purezza del messaggio, la croce
e la resurrezione. L’Editto di Milano ha dato libertà alla Chiesa, essa ha
potuto testimoniare l’annuncio con più vigore e forza, ha intrapreso un’opera
di evangelizzazione ancora maggiore. Ma il Seduttore del mondo ha cercato e
cerca di rendere vano questo annuncio. L’idea dell’impero cristiano, della Societas
christianahanno travalicato il principio buono, per introdurre lo spirito
mondano. E questo spirito mondano è un processo che allontana dalla fonte che
illumina la Chiesa, il Cristo morto e risorto, per produrre un’autocoscienza
ecclesiale, che vorrebbe brillare da sé. Questo pensiero mondano, quello che il
papa Francesco chiama "malattia spirituale", questa mondanità, questo
peccato spirituale, hanno senza dubbio facilitato la nascita delle radici della
contrapposizione, dell’autoaffermazione e quindi della divisione.
E come può
attuarsi un rimedio a questo?
Se la
Chiesa, come Corpo di Cristo, non può essere divisa, e in essa lo Spirito Santo
agisce attraverso i grandi misteri di salvezza, si deve porre rimedio insieme.
Ed il farmaco non è la creazione di uno Stato di Dio, come alle volte è stato
teorizzato da alcuni, ma una metànoia profonda di ogni uomo,
un cambio di mentalità che produca una conversione sincera al Dio fatto uomo,
una teofania nuova nella vita della Chiesa.
Lei ha fatto
riferimento alla Chiesa del primo millennio. Cosa essa può ancora suggerire al
cammino presente per l’unità dei suoi figli?
Come
dicevamo, la Chiesa antica è permeata e vive della vitale presenza del Cristo.
Ambrogio di Milano ci ricorda che «la Chiesa splende non di luce propria, ma di
quella del Cristo». Per Cirillo di Gerusalemme «la Chiesa è circonfusa dalla
luce divina di Cristo, che è l’unica luce nel regno delle anime». Nella fedeltà
a questa luce, la Chiesa dei primi secoli ha vissuto la grandezza dei grandi
Concili ecumenici, ha respirato la sinergia dei Padri apostolici non come una
realtà autoreferenziale, ma come una realtà continuamente edificata dalla
presenza viva di Cristo. Le differenze che apparivano nel Corpo di Cristo sono
diventate contrapposizioni solo a causa di strategie umane ad esso estranee.
Ancora una volta la Chiesa deve riscoprirsi oltre gli schemi umani in cui
spesso si è confinata e riappropriarsi della via di Cristo. Nel superamento di
se stessa, essa ritrova il cammino comune oltre gli sbarramenti
giurisdizionali, teologici, esegetici. In questa prospettiva il primo millennio
suggerisce alla Chiesa quella "vita in Cristo" che conforma in unità
i suoi figli. Il primo millennio della Chiesa ha vissuto profondamente l’unità,
mentre era completamente sconosciuta l’idea di unione.
Può spiegare
meglio in questa prospettiva la differenza tra unione e unità e come possono
essere superate le difficoltà relazionali tra le Chiese?
L’idea di
unione sorge nella Chiesa nel secondo millennio, a causa di un’eccessiva
centralizzazione del suo essere Chiesa, in contrapposizione quasi al suo essere
Corpo santificante del Cristo. È la prerogativa umana di un corpo
indifferenziato, privo dei doni dello Spirito Santo. L’unità, invece, non è la
sola soluzione di dispute teologiche, ma è il modus vivendi offertoci
dall’esperienza ecclesiale dei primi secoli. E riscoprire questo aspetto
dell’unità, come vissuto nel primo millennio di vita della Chiesa, può aiutare
le nostre Chiese a superare oggi le difficoltà relazionali che ancora si
possono riscontrare tra di esse. L’unità perciò non sarà il risultato di
strategie umane, ma la scoperta di essere compagni di strada, fedeli ai
pensieri ed ai sentimenti di Cristo.
Ma l’unità
dei cristiani può anche essere intesa oggi come alleanza e comune lotta contro
un nemico comune...
L’unità dei
cristiani è principalmente un dono di Dio, che possiamo attualizzare, come
abbiamo detto, solo riscoprendoci alla sequela del Cristo. Di conseguenza è del
tutto evidente che non possa trattarsi di un’alleanza o di una battaglia comune
contro un nemico comune, secondo l’ideologia del mondo. L’unità è un atto di
fedeltà all’annuncio del Logos di Dio. L’idea del nemico
comune spesso viene richiamata da chi, nelle religioni, non vede un atto
d’amore di Dio verso la sua creatura e un atto di fedeltà del credente verso
Dio, ma un tipo di società umana che cerca di manipolare l’uomo creandogli un
nemico comune. Questa manipolazione ha creato spesso e crea anche oggi elementi
estranei alla vita religiosa, come i tanti fanatismi che percorrono il mondo.
Sotto l’aspetto spirituale invece la lotta a un nemico comune è giusta. I
cristiani combattono una lotta spirituale contro il nemico per eccellenza,
colui che astutamente ha diviso le Chiese e cerca di ritardare la loro unità.
Una comune testimonianza contro il Principe di questo mondo, che divide, che
governa, che impera troppe volte, è un atto di adesione all’insegnamento
evangelico. La voce delle Chiese cristiane deve essere armonica per poter
risvegliare l’uomo contemporaneo da un torpore spirituale che, quando non
rifiuta la presenza e l’intimità con Dio, lo rende un fatto meramente culturale
e privato, o in antitesi crea l’idolatria del concetto stesso di Dio, arrivando
all’estremismo fanatico, che è la negazione stessa di Dio. I cristiani uniti
devono parlare con un’unica voce contro questo tipo di nemico comune.
I cristiani
del Medio Oriente vivono oggi grandi sofferenze. La loro particolare situazione
che ripercussione può avere nelle Chiese e per l’ecumenismo?
Durante le
persecuzioni i cristiani di diverse confessioni hanno mescolato il sangue
versato. In tutta la storia della Chiesa, dalla Chiesa nascente fino ai nostri
giorni, i martiri sono i santi che hanno la grazia di Dio in vasi di argilla,
che vivono veramente dentro la luce della trasfigurazione. Tuttavia questo non
può rendere le Chiese insensibili alle sofferenze a cui tanti nostri fratelli e
sorelle ogni giorno sono chiamati a vivere. E la sfida è ancora maggiore soprattutto
in Medio Oriente e nei paesi in cui nostro Signore e gli apostoli hanno
camminato e dove si è consolidata la Chiesa dei primi secoli. La sofferenza non
chiede a quale confessione appartiene il martire. Veramente, come dice papa
Francesco, viviamo ancora un «ecumenismo del sangue». L’ecumenismo del sangue è
offerto dinanzi all’altare celeste del Signore per tutti noi, affinché possiamo
affrettare un ecumenismo di testimonianza dinanzi al mondo.
Spesso però
viene fatto un uso strumentale della religione…
Quest’uso è
un crimine estraneo alla religione stessa che purtroppo ha ripercussione nella
vita e nei rapporti delle nostre Chiese. Dobbiamo saper testimoniare tutti che
nessuno ha il diritto di uccidere in nome di Dio e che nessuno ha l’esclusiva di
Dio e siamo insieme per una pace durevole e giusta, affinché non prevalgano
solo le logiche del profitto e dello sfruttamento. Soltanto uniti i cristiani
sono credibili e possono essere d’aiuto a tutti coloro che soffrono per le
troppe ingiustizie che ogni giorno vengono perpetrate a danno di innocenti.
L’«ecumenismo del sangue», il sangue dei martiri, non chiede vendetta ma
interroga ogni credente, rende le Chiese oggi, come nel passato lontano e
recente, più sensibili all’accorato appello della sofferenza, al superamento
del pregiudizio, al cammino comune.
Come giudica
il percorso politico e civile della Turchia e come esso è percepito dalle
comunità cristiane e dalle altre minoranze?
Il processo
politico e civile del nostro Paese ha evidenziato sviluppi positivi durante il
governo del Presidente Erdogan, soprattutto riguardo al tema delle libertà
religiose. C’è stata l’autorizzazione a celebrare la liturgia in luoghi storici
del cristianesimo e la ristrutturazione di alcuni siti d’importanza per le Chiese
in Turchia. Nonostante ciò resta ancora molto da fare. La percezione di questo
percorso è ancora poco comprensibile nelle comunità cristiane e nelle altre
minoranze religiose.
Quali sono i
pericoli?
Come è noto
la Costituzione della Turchia prevede che esso sia un paese laico, nel quale
tutte le religioni hanno uguale dignità. Questo nei fatti si è rivelato alle
volte però controproducente. Per salvaguardare la laicità dello stato, il
potere politico si è introdotto nelle scelte e nelle attività delle confessioni
religiose, privandole così della libertà di agire e riducendo di fatto i fedeli
delle minoranze religiose a cittadini di seconda categoria. Gli Stati devono
essere garanti di un’uguaglianza dei propri cittadini. I cristiani in Turchia
sono anche cittadini turchi e per questo devono avere le stesse possibilità dei
cittadini turchi musulmani. Ci deve essere per loro un’attenzione
politicamente, eticamente e materialmente più chiara. Uno degli aspetti ancora
controversi è ad esempio il riconoscimento giuridico della Chiesa come ente di
diritto pubblico. Per il Patriarcato ecumenico la Turchia ancora non riconosce
pienamente il suo status giuridico, la sua posizione storica nel mondo
ortodosso e ingiustamente ancora ostacola la riapertura della scuola teologica
di Chalki.
Torniamo
all’unità dei cristiani. Perché ci sono tante resistenze al cammino verso la
piena comunione? Cosa c’è da perdere o da difendere?
La Chiesa,
nel suo divenire storico, ha sempre seguito nell’attività pastorale il proprio
popolo, mai spingendosi troppo avanti e attendendo sempre chi arrivava con
fatica. Come madre premurosa si occupa della crescita spirituale e umana dei
propri figli, e allo stesso tempo li guida verso l’incontro con il Salvatore.
Questo avviene anche nel dialogo ecumenico. La grande speranza suscitata in
tanti cristiani e anche nelle gerarchie delle Chiese dall’incontro di
Gerusalemme nel 1964 è stata accompagnata anche dallo scetticismo e alle volte
dalla contrarietà di altri. Tuttavia, la spinta all’apertura e all’incontro che
ne è derivata è stata molto più forte di ogni resistenza. Lo stesso avviene
anche oggi. La purificazione della memoria storica avviene lentamente, con
tanta pazienza, ma è inarrestabile il suo cammino. E il dialogo teologico ne è
un esempio. C’è bisogno di gesti incisivi, che sappiano coinvolgere
positivamente anche coloro che restano scettici o dubbiosi. Il dialogo può e
deve sempre arricchire, non è mai fine a se stesso e certamente non fa perdere
la propria identità. Non abbiamo nulla da perdere e da difendere.
Nel 2016
avrà luogo il grande Sinodo della Chiesa ortodossa. Potrà essere un
appuntamento importante anche per il dialogo ecumenico?
Dopo tanti
anni di preparazione e per decisione unanime di tutti i primati delle Chiese
ortodosse esso sarà convocato a Costantinopoli. È un fatto nuovo che vede tutte
le Chiese ortodosse riunite assieme per discutere temi di carattere
amministrativo e d’interesse comune, al fine di presentare il messaggio
dell’Ortodossia al mondo "con un solo cuore e con una sola voce". Uno
dei temi che coinvolge questa grande assise è la volontà di proseguire nel
dialogo ecumenico, dialogo che non può non interessare la Chiesa a gradi
diversi, ma deve essere maturato allo stesso modo da tutti e ovunque.
Sarà
invitato anche il vescovo di Roma?
Dovrebbe
essere una decisione di tutti i primati delle Chiese ortodosse autocefale, ma
la rottura millenaria delle comunione eucaristica tra le nostre Chiese non
permette ancora la convocazione di un grande Concilio ecumenico. Siamo certi
che il nostro amato fratello della Chiesa di Roma sarà con noi in comunione di
preghiera e a lui chiediamo di pregare per questo nostro storico incontro.
Qual è il
suo personale auspicio?
Voglia Dio
che in un futuro prossimo vi sia l’incontro delle nostre Chiese nella vita
sinodale l’una dell’altra, a gloria del nostro Dio nella Santa, consustanziale,
vivificante e indivisibile Trinità.
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